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Декамерон

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Предлагаем вниманию читателей главы из романа Дж. Боккаччо «Декамерон». Неадаптированный текст снабжен комментариями и словарем. Для студентов языковых вузов и всех любителей литературы эпохи Возрождения.
Боккаччо, Дж. Декамерон : книга для чтения на итальянском языке : художественная литература / Дж. Боккаччо. - Санкт-Петербург : КАРО, 2010. - 288 с. - (Lettura classica). - ISBN 978-5-9925-0585-6. - Текст : электронный. - URL: https://znanium.com/catalog/product/1047918 (дата обращения: 27.04.2024). – Режим доступа: по подписке.
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УДК 
372.8
ББК 
81.2 Ита-93
 
Б 78

ISBN 978-5-9925-0585-6

Боккаччо Дж.
Б 78 
Декамерон: Книга для чтения на итальянском языке. — СПб.: КАРО, 2010. — 288 с. — (Серия “Lettura 
classica”).

ISBN 978-5-9925-0585-6.

Предлагаем вниманию читателей главы из романа Дж. Боккаччо «Декамерон». Неадаптированный текст снабжен комментариями и словарем.
Для студентов языковых вузов и всех любителей литературы 
эпохи Возрождения.

УДК 372.8
ББК 81.2 Ита-93

Издательство благодарит В. В. Зельченко
за помощь в подготовке книги

© КОРОНА принт, 2004
© КАРО, 2010

Comincia la prima giornata 
del Decameron nella quale 
dopo la dimostrazion fatta dall’autore 
per che cagione avvenisse 
di doversi quelle persone 
che appresso si mostrano 
ragunare a ragionare insieme 
sotto il reggimento di Pampìnea 
si ragiona di quello 
che più aggrada a ciascuno

Prima giornata
Introduzione

Quantunque volte, graziosissime donne, meco 
pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte 
pietose siate, tante conosco che la presente opera al 
vostro giudicio avrá grave e noioso principio, sì come è la dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe dannosa e lagrimevole 
molto, la quale essa porta nella sua fronte. Ma non 
voglio per ciò che questo di più avanti leggere vi sbaventi, quasi sempre tra’ sosbiri e tralle lagrime leggendo dobbiate trapassare. Questo orrido cominciamento vi fi a non altramenti che a’ camminanti una 
montagna aspra ed erta, appresso la quale un bellissimo piano e dilettevole sia riposto, il quale tanto più 
viene loro piacevole quanto maggiore è stata del salire e dello scendere la gravezza. E sì come la stremità dell’allegrezza il dolore occupa, così le misene da 
sopravvegnente letizia sono terminate. A questa brieve noia (dico brieve in quanto in poche lettere si contiene) seguirà prestamente la dolcezza ed il piacere 
il quale io v’ho davanti promesso e che forse da così 

DECAMERON

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fatto inizio non sarebbe, se non si dicesse, aspettato. 
E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra 
parte menarvi a quello che io disidero, che per così 
aspro sentiero come fi a questo, io l’avrei volentier fatto; ma per ciò che, qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno avvenissono, non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessità costretto a scrivere mi conduco.
E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che 
essa dagl’inermi di quella per lo comunicare insieme 
s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco 
alle cose secche o unte quando molto vi sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male; ché non solamente il parlare e l’usare con gl’infermi dava a’ sani 
infermità o cagione di comune morte, ma ancora il 
toccare i panni e qualunque altra cosa da quegli inferni stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator trasportare. Maravigliosa cosa è ad udire quello che io debbo dire, il che se dagli 
occhi di molti e da’ miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo non che di scriverlo, quantunque da fededegna persona udinto l’avessi. Dico che 
di tanta effi  cacia fu la qualità della pestilenza narrata 
nell’appicciarsi da uno ad altro, che non solamente 
l’uomo all’uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato o morto di tale infermità, tocca da un altro 
animale fuori della spezie dell’uomo non solamente 
della ‘nfermità il contaminasse, ma quello infra bre
INTRODUZIONE

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vissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è detto, presero tra l’altre volte un dì 
così fatta esperienza, che, essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via 
pubblica ed avvenendosi ad essi due porci, e quegli, 
secondo il lor costume, prima molto col grifo e poi co’ 
denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora 
appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno 
avesser preso, ammenduni, sopra li mal tirati stracci 
morti caddero in terra. Dalle quali cose e da assai 
altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure ed immaginazioni in quegli che rimanevano 
vivi; e tutti quasi ad un fi ne tiravano assai crudele, ciò 
era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e 
così faccendo, si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare. Ed erano alcuni, li quali avvisavano 
che il viver moderatamente ed il guardarsi da ogni superfl uità avesse molto a così fatto accidente resistere; 
e fatta lor brigata, da ogni altro separati viveano, ed 
in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi dove niuno infermo fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi 
ed ottimi vini temperatissimamente usando ed ogni 
lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare ad alcuno o 
volere di fuori di morte o d’infermi alcuna novella 
sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver poteano si dimoravano. Altri, in contraria oppinion tratti, aff ermavano il bere assai ed il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando ed il sodisfare d’ogni cosa all’appetito che si potesse, e di ciò che avveniva 

DECAMERON

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ridersi e beff arsi, esser medicina certissima a tanto 
male; e così come il dicevano, il mettevano in opera a 
lor potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora 
a quella altra andando, bevendo senza modo e senza 
misura, e molto più ciò per l’altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che lor venissero a grado o in piacere. E ciò potevan far di leggieri, per ciò 
che ciascun, quasi non più viver dovesse, aveva, sì come sé, le sue cose messe in abbandono, di che le più 
delle case erano divenute comuni e così l’usava lo straniere, pure che ad esse s’avvenisse, come l’avrebbe il 
proprio signore usate; e con tutto questo proponimento bestiale sempre gl’infermi fuggivano a lor potere. 
Ed in tanta affl  izione e miseria della nostra città era 
la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri ed esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famiglie rimasi stremi che ufi cio alcuno non potean fare; per la qual cosa 
era a ciascun licito quanto a grado gli era, d’adoperare. Molti altri servavano, tra questi due di sopra detti, una mezzana via: non istrignendosi nelle vivande 
quanto i primi, né nel bere e nell’altre dissoluzioni allargandosi quanto i secondi, ma a soffi  cienza secondo gli appetiti le cose usavano e senza rinchiudersi andavano attorno, portando nelle mani chi fi ori, chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie, quelle 
al naso ponendosi spesso, estimando essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare, con ciò fos
INTRODUZIONE

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se cosa che l’aere tutto paresse dal puzzo de’ morti corpi e delle ‘nfermità e delle medicine compreso e puzzolente. Alcuni erano di più crudel sentimento, come 
che per avventura più fosse sicuro, dicendo niuna 
altra medicina essere contro alle pestilenze migliore 
né così buona come il fuggir loro davanti; e da questo 
argomento mossi, non curando d’alcuna cosa se non 
di sé, assai ed uomini e donne abbandonarono la propria città, le proprie case, i lor luoghi ed i lor parenti 
e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado: quasi l’ira di Dio, a punire l’iniquità degli uomini, con quella pestilenza, non dove fossero, procedesse ma solamente a coloro opprimere li quali dentro 
alle mura della lor città si trovassero, commossa intendesse: o quasi avvisando niuna persona in quella 
dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta.
A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante 
miserie ravvolgendo; per che, volendo omai lasciare 
star quella parte di quelle che io acconciamente posso schifare, dico che, stando in questi termini la nostra città, d’abitatori quasi vòta, addivenne, sì come io 
poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, uditi li 
divini ufi ci in abito lugubre, quale a sì fatta stagione 
si richiedea, si ritrovarono sette giovani donne, tutte 
l’una all’altra o per amistà o per vicinanza o per parentado congiunte, delle quali niuna il ventiottesimo 
anno passato avea né era minor di diciotto, savia cia
DECAMERON

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scuna e di sangue nobile e bella di forma ed ornata di 
costumi e di leggiadra onestà. Li nomi delle quali io 
in propria forma racconterei, se giusta cagione da dirlo non mi togliesse, la quale è questa, che io non voglio che per le raccontate cose da loro, che seguono, e 
per l’ascoltate, nel tempo avvenire alcuna di loro possa prender vergogna, essendo oggi alquanto ristrette 
le leggi al piacere, che allora, per le cagioni di sopra 
mostrate, erano, non che alla loro età, ma a troppo più 
matura larghissime; né ancora dar materia agl’invidiosi, presti a mordere ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto l’onestà delle valorose donne con 
isconci parlari. E però, acciò che quello che ciascuna 
dicesse senza confusione si possa comprendere appresso, per nomi alle qualità di ciascuna convenienti 
o in tutto o in parte intendo di nominarle; delle quali la prima, e quella che di più età era, Pampìnea chiameremo, e la seconda Fiam metta, Filomena la terza e 
la quarta Emilia, ed appresso Lauretta diremo alla 
quinta ed alla sesta Neìfi le, e l’ultima Elissa non senza cagion nomeremo. Le quali, non già da alcuno proponimento tirate, ma per caso in una delle parti della chiesa adunatesi, quasi in cerchio a seder postesi, 
dopo più sospiri, lasciato stare il dir de’ paternostri, 
seco della qualità del tempo molte e varie cose cominciarono a ragionare; e dopo alcuno spazio, tacendo 
l’altre, così Pampìnea cominciò a parlare:
“Donne mie care, voi potete, così come io, molte 
volte avere udito che a niuna persona fa ingiuria chi 

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